La storia della Valcanale preromana è ancora avvolta nel mistero. L’archeologia non ha finora aiutato a diradare le tante ipotesi che nel tempo hanno cercato di ricostruire la storia di questa parte della regione Giulia.
Anche lo studio della toponomastica non è risultato decisivo e gli studiosi si dividono se attribuire ai venetici o ai celti, la titolarità di queste terre prima dell’arrivo dei romani.
Pur limitandoci al capoluogo Tarvisio le opinioni sono discordi: alcuni sostengono che il toponimo deriverebbe dal popolo celtico dei Taurisci, altri da un prelatino taur (montagna).
Per G.B. Pellegrini un Taru-isio potrebbe essere di origine venetica e questa ipotesi sarebbe, a nostro avviso, suffragata dal controllo che le tribù paleovenete hanno esercitato su tutte le rotte commerciali nella regione Giulia sin dal Bronzo antico.
Non si può comunque escludere che l’origine del toponimo sia celtica e si sia affermata dopo l’espansione del popolo celtico dei Taurisci nella confinante Carniola (attuale Slovenia).
Quale che sia l’origina toponomastica di Tarvisio, la Val Canale esce dalle nebbie della storia con l’arrivo dei romani.
Come è noto a Camporosso, frazione di Tarvisio, si trova lo spartiacque naturale che separa geograficamente il versante italiano delle Alpi da quello austriaco. La romana Larix era una “statio” del tracciato laterale della via Iulia Augusta che correva lungo l’asse del fiume Fella.
Partendo da Aquileia, il tracciato passava per Ospedaletto (Gemona del Friuli), Larix (Camporosso), Santicum (Villach), per arrivare a Virunum (Zollfeld).
Il termine Larix è un fitonimo e significa Larice. La “statio” romana non era semplicemente un luogo dove effettuare il cambio dei cavalli per i funzionari statali, ma anche un posto di guardia a presidio della sicurezza della via. Tra il II e il III secolo d.C. divenne la stazione doganale meridionale della provincia del Norico, con la denominazione di Statio Bilachinium. Il termine è a noi noto per l’iscrizione su un sarcofago di marmo rinvenuto a Camporosso (e oggi custodito nel museo di Villach) che racconta dello schiavo Ermiano, gabelliere presso la stazione doganale Bilachinium. Il gabelliere e la moglie Leontia avevano fatto realizzare il manufatto per ricordare la figlia Capra, prematuramente morta a 5 anni, 11 mesi e 13 giorni.
Testimonianza importante della romanità di Camporosso è la stele dedicata ad Avilia Leda, custodita nel cortile della stazione forestale di Camporosso. Nella stele è incisa l’iscrizione DIIS MANIBUS- AVILIAE LEDAE DIEBUS FUNCTIS XXXV – MUTILIUS FORTUNATUS ED AVILIO GRATO, ALUNNI FECERO.(Agli Dei mani in memoria di Avilia Leda, morta a 35 anni- Mutilio Fortunato ed Avilio Grato, alunni fecero).
I reperti di epoca romana sono visitabili nell’Antiquarium di Camporosso.
Non tutti gli storici concordano sul fatto che la romana Larix indichi Camporosso. Alcuni propendono per far coincidere Larix con Campolaro, frazione di Chiusaforte e con ogni probabilità, località che segnava in epoca romana il confine tra l’Italia e il Norico. L’ipotesi che il confine fosse a Campolaro fa il paio con la supposizione che la stazione doganale sul versante italiano fosse posta nella statio Ploru (censis), toponimo che per assonanza richiama il monte Plauris che domina Resiutta. La statio doganale è menzionata nell’Itinerarium Antonini.
Dott. Stefano Salmè