
La Storia
Le grandi vie che dalle Alpi raggiungono il Friuli per dirigersi verso il mare hanno avuto un’influenza determinante nella storia della regione. E’ possibile, se non probabile, che il primo popolamento storico della regione Giulia sia dovuto proprio al controllo di quella “via dell’ambra” che in epoca romana divenne la “via Iulia Augusta”.
Per comprendere come questa antica arteria commerciale, luogo di transito di pellegrini, popoli e merci, abbia influenzato le sorti della regione friul-giuliana, basterebbe ricordare quanto sia ancora forte la persistenza della sua vocazione, con la sua altissima densità commerciale.
Pochi decenni fa la nascita dei primi grandi centri commerciali avvenne proprio lungo questa direttrice, nell’intento di intercettare quella clientela di lingua tedesca avvezza da secoli a valicare le Alpi per trovare quei prodotti che la natura e la laboriosità italica poteva garantirgli. Una antica consuetudine che si è mantenuta addirittura nel corso dei millenni.
Ed è proprio seguendo il tracciato dell’antichissima via dell’ambra gialla, che l’Unione Europea ha disegnato quel corridoio multimodale adriatico-baltico, in grado di rimettere a pieno regime le potenzialità commerciali delle regioni e delle nazioni attraversate dalla via.
E’ ancora l’attualità a ricordarci l’importanza che il porto di Trieste sta riconquistando in funzione di quella via della seta, che già i nostri antenati romani, con la conquista del Bosforo, avevano abbozzato. Trieste eredita quella funzione intermediatrice tra il nord Europa e il mediterraneo che fu della grande metropoli romana di Aquileia.
LA VIA DELL’AMBRA
La Via dell’Ambra Gialla, che dal villaggio protostorico “Canale Anfora” (Terzo d’Aquileia) conduceva al Passo di Monte Croce Carnico (mentre il suo versante orientale da Stazione Carnia piegava sulla valle del Canal del Ferro) per condurre nel Norico, fu per secoli luogo di intensi scambi commerciali e culturali. È probabile che questa antica arteria commerciale sia stata anche la porta d’accesso dei popoli Protolatini nella loro discesa in Italia.
Il grande contributo fornitoci dalle nuove e importanti scoperte archeologiche e le consolidate tecniche di datazione con il radiocarbonio, ci aiutano a ricomporre pezzi di storia fondamentali per la comprensione dello sviluppo cronologico e identitario della nostra civiltà.
I villaggi protostorici, datati tra il Bronzo Antico e quello Medio, sembrerebbero quindi riconducibili proprio all’arrivo dei popoli Protolatini, giunti dal bacino danubiano e penetrati nella penisola attraverso le Alpi Giulie.
Se il “cuneo terramaricolo” della grande famiglia dei Protolatini, che abbracciava Latini, Falisci e Venetici, si dispiegò in un arco temporale più o meno lungo su tutta la penisola fino alla Sicilia, è ragionevole supporre che i villaggi protostorici che hanno popolato il “Venetorum angolus” durante l’età del Bronzo, siano riconducibili a tribù venetiche.
Nella prima fase, più che di una colonizzazione intensa come fu quella legata alla centuriazione di epoca romana, si può parlare di una rete di “stazioni” poste lungo le arterie fluviali, le strade principali e le porte d’accesso della regione, il cui controllo era strategico per lo svolgimento degli scambi commerciali con il nord Europa.
Non sappiamo come si sia organizzata la convivenza con la popolazione mediterranea già presente sul territorio (i Liguri Ingauni detti anche Euganei).
Sulla base dell’esperienza storica possiamo supporre che non fosse molto diversa da quella che si instaurò tra la popolazione romana e gli invasori barbari dopo la caduta dell’impero.
Il diritto di “hospitalitas” romano fu mutuato dai barbari germanici nella loro conquista dell’Italia che inaugurò il Medio Evo.
[L’hospitalitas era un istituto giuridico che prevedeva il dovere dei cittadini ad alloggiare legionari, cedendogli un terzo della loro casa; l’istituto fu poi usato dai romani per incorporare nei confini dell’impero popolazione barbare federate, a cui veniva ceduto un terzo delle terre da presidiare; il principio giuridico fu infine utilizzato dai popoli germanici dopo la conquista dell’Impero romano]
Ad una prima fase di “apartheid” che contrassegnò la prima convivenza forzata tra barbari germanici e popolazione romana, seguì una graduale integrazione nel corso dei secoli. Più o meno lo stesso schema può essere immaginato nella coesistenza tra la popolazione euganea (Liguri Ingauni) presente in Friuli, e gli invasori Venetici arrivati verso la fine del Bronzo Antico insieme ai consanguinei popoli latino-falisci.
In alternativa è lecito supporre che la popolazione euganea sia stata vittima di una pulizia etnica e sia stata costretta a ritirarsi in alcune valli alpine, affiancandosi alle tribù affini linguisticamente e culturalmente dei Reti.
La leggenda, pur inquadrata nell’alveo della cultura ellenizzante che la produsse, tende a rafforzare la tesi storica che i Venetici abbiano scacciato le tribù euganee presenti sul territorio friulano, relegandole in alcune valli alpine. La narrazione, ripresa in una tragedia di Sofocle e fatta propria da Livio, racconta che gli Euganei sarebbero stati scacciati dalle loro sedi lungo il litorale Adriatico dai Veneti venuti dalla Paflagonia, guidati da Antenore eroe troiano.
Privi di documenti storici, l’archeologia ci sta restituendo nel tempo, i segni più caratteristici della civiltà dei castellieri tipica della regione Giulia. La valorizzazione del grande patrimonio archeologico della regione a fini turistici ha spinto le istituzioni locali e nazionali, a finanziare diversi scavi con risultati eccezionali.
Lungo la via dell’ambra riemergono dalle viscere della terra interi villaggi protostorici e tumuli funerari di grandi dimensioni.
La cultura dei tumuli fu caratterizzata dalla pratica della sepoltura per inumazione dei defunti. Non conoscendo ancora la scrittura, sono proprio i resti di questi tumuli e dei “castellieri”, disseminati tra le colline e il mare, che ci hanno restituito testimonianze preziosissime del popolamento della regione friulana.
I tumuli funerari erano una caratteristica che accomunava sia la popolazione euganea, sia quella venetica che arrivò nell’età del Bronzo Antico. L’attribuzione all’una o all’altra popolazione deve essere quindi attentamente valutata, in primo luogo ovviamente giovandosi degli strumenti di datazione del radiocarbonio e dall’analisi storica dei reperti trovati. I tumuli, che visivamente appaiono come delle piccole alture (quelli che sono stati trovati non superano i 7 metri, ma questo non prova che non ve ne fossero di ben maggiori) svolgevano molteplici funzioni. La principale era quella di essere destinati a “luoghi di culto”. Come accade molto spesso nella storia, la persistenza della destinazione d’uso ha fatto sì che i tumuli funerari che hanno caratterizzato il Friuli nell’età del Bronzo, siano stati utilizzati dai romani per le loro sepolture e poi dai cristiani che, spesso, ci hanno edificato le loro chiese.
La civiltà dei “castellieri”, che caratterizza tutta la regione Giulia, è affine a quella delle “terramare” ed entrambe sono ascrivibili alle popolazioni Protolatine giunte in Italia attraverso le Alpi Giulie, in un periodo compreso tra il Bronzo Antico e quello Medio.
Il termine “terramare” deriva da “terra marna”, che nella lingua emiliana (in Emilia è stato scoperto il primo villaggio di questo tipo) significa “terra grassa”, con riferimento alla terra di color scuro tipica dei depositi archeologici stratificati formatisi per l’accumulo dei resti delle abitazioni che venivano ricostruite una sull’altra.
Le “terramare”, che sorgono nella regione friulana lungo la Via dell’Ambra, hanno la stessa funzione delle coeve stazioni che si moltiplicarono durante l’età del Bronzo Medio nella pianura padana. Esse svolgevano il ruolo di depositi e di punti di partenza delle materie prime provenienti dal Nord Europa, in particolare ambra dal mar Baltico e stagno e rame dai giacimenti metalliferi. La materia prima veniva venduta ai commercianti italici, per essere trasformata in manufatti nelle principali comunità terramaricole della pianura padana. I prodotti finiti venivano poi venduti ai mercanti provenienti dal mondo egeo. Uno dei motivi principali, quindi, che spinse a costruire i villaggi terramaricoli in zone lacustri e fluviali, fu sicuramente la necessità di sfruttare al meglio le possibilità offerte dalla navigazione fluviale (oltre che al procacciamento di risorse idriche per l’allevamento e l’agricoltura).
Le comunità sorte lungo la Via dell’Ambra prosperarono grazie alla ricchezza che viaggiava lungo questa importante arteria commerciale. Dobbiamo immaginare, quindi, che, all’interno di questi villaggi, si fossero sviluppate importanti attività artigianali legate alla metallurgia del bronzo e della ceramica. Anche lo sviluppo progressivo delle cinte difensive va letto con la necessità di difendere non solo la comunità, ma anche quei “ripostigli” in cui venivano custoditi vari prodotti metallici e lingotti o panelle di metallo grezzo, che rappresentavano delle vere e proprie riserve di metallo per fonditori.
Sin dalla Protostoria quindi, la regione Giulia dovrà la sua importanza, protrattasi fino a oggi, di regione di confine e strategicamente collocata come cerniera tra la Penisola e il mondo centro europeo e tra questo e il Mediterraneo.
La civiltà dei “castellieri” che ebbe la sua origine nel Bronzo antico, con l’arrivo delle popolazioni Protolatine, si è sviluppata nel corso di un lunghissimo periodo e ha conosciuto ovviamente fasi di crisi acute, riuscendo però a mantenere il filo della sua identità fino alla romanizzazione della regione.
Il Bronzo Recente (1350-1200 a.C.) vede il periodo di massima densità abitativa, ma anche la prima grave crisi con l’irrompere dell’invasione osco-umbra.
Superata la crisi dovuta alla penetrazione dei popoli osco-umbri, molto probabilmente arrivati dagli stessi valichi delle Alpi Giulie utilizzati dai Protolatini, la regione friulana conosce una nuova riorganizzazione e una nuova fioritura nei primi secoli dell’Età del Ferro. Alcuni siti fortificati vengono abbandonati mentre altri si rafforzano.
È plausibile ritenere che il consolidamento di alcuni castellieri e il declino di altri, sia stato anche il frutto di lotte tribali per l’egemonia. Un certo filone storiografico del nostro tempo tende a valutare con maggiore enfasi i fattori di crisi legati a cambiamenti climatici o a dinamiche sociali. Senza escludere che questi fattori abbiano avuto un peso nel declino di una comunità, o nel rafforzamento di altre, questo orientamento storiografico sembra voler piegare le ragioni della storia alla cultura attuale.
Le grandi carestie o pestilenze nella storia dell’uomo sono sempre state una delle cause di quelle “primavere sacre” che spingevano i popoli a migrare e a invadere nuove terre. Se quindi questa fu la causa, la concordanza temporale tra le invasioni osco-umbre del XII secolo a.C. e di quella celtica del IV secolo a.C. e le gravi crisi conosciute dalle comunità friulane in quelle faglie della storia, induce a vedere un solido nesso di causa ed effetto.
Le grandi strade e le grandi arterie commerciali hanno spesso assunto la propria denominazione adottando il nome della merce di prevalente importanza. L’attualità legata alle prospettive del porto di Trieste ha riportato in auge quella Via della Seta che nell’antichità aveva collegato i due imperi che governavano il mondo, quello romano e quello cinese. Funzione che, nella nostra penisola, dopo la caduta dell’impero, fu ereditata dalla repubblica di Venezia. I nomi assegnati alla Via del The, alla Via delle Spezie, alla Via dell’Incenso, alla Via del Tabacco, ne sono alcuni altri esempi.
Ma a cosa era dovuta l’importanza particolare che aveva l’ambra (in particolare quella gialla), tale da dare il nome a questa antica rotta? L’ambra nell’antichità ha sempre esercitato un fascino particolare e ad essa erano attribuiti poteri magici e terapeutici. Essa fu messa in relazione con le divinità solari per la sua trasparenza e la lucentezza del suo colore. L’ambra gialla proveniente dal Baltico si raccoglieva facilmente sulla riva del mare, culla di fecondità e di fertilità.
Il mito di Fetonte ci spiega bene il valore religioso che veniva attribuito all’ambra: il figlio di Zeus volle guidare per un solo giorno il carro del padre, ma per la maldestra guida dei cavalli bianchi bruciò un tratto di cielo che divenne la “Via Lattea”. Sceso troppo vicino alla Terra devastò alcuni territori che divennero deserti. Per salvare la Terra, Zeus, adirato, scagliò un fulmine contro Fetonte che cadde nell’Eridano (il Po). Le Eliadi, sorelle di Fetonte, piansero per la sua morte e Zeus impietosito le tramutò in alberi (pioppi o ontani) e le loro lacrime cioè le gocce di resina indurite al sole, diventarono ambra. La leggenda rivela un’influenza greca, che testimonia i contatti stretti della civiltà terramaricola con la civiltà micenea. Il racconto mitico di Esiodo sulla caduta di Fetonte presso l’Eridano ci ricorda anche il pianto del re dei Liguri Cicno, amico di Fetonte. Il legame racchiuso nella leggenda, ci porta all’ipotesi che anche per le popolazioni liguri della pianura padana l’ambra rivestisse un valore taumaturgico e religioso. È possibile che le stesse popolazioni liguri controllassero il commercio dell’ambra prima dell’arrivo dei Protolatini nella penisola. Suggestiva in questa direzione, l’ipotesi fatta da alcuni storici di un’origine settentrionale delle popolazioni liguri (compresi Reti, Euganei, Camuni, Sicani, Sardi e Corsi), che spiegherebbe alcune loro affinità con le culture indoeuropee, nonostante la divergenza linguistica.
Le stazioni “terramaricole” che sorgono lungo la via dell’ambra gialla precedettero una funzione simile a quella delle comunità popolate di negotiatores italici sparsi in tutto l’Occidente e il Vicino Oriente.
In qualche modo potremmo affermare che già a quel tempo la via dell’ambra gialla non fosse una semplice strada, ma un embrionale “corridoio multimodale” di trasporto delle merci e delle persone, che comprendeva strade, arterie fluviali e “dogane” ai valichi alpini.
Se le consuetudini culturali, l’archeologia e le fonti antiche, stanno aiutando non poco la ricostruzione della storia della regione Giulia nella sua preistoria, sono invece ancora scarsi (ma importanti) i rinvenimenti di iscrizioni che permettono una ricostruzione puntuale del contesto etnico-linguistico. Quelle poche ritrovate confermano però che molto probabilmente la civiltà dei “castellieri” sia attribuibile a tribù venetiche e che, nonostante la pressione migratoria celtica proveniente dal nord, la loro presenza, pur ridotta di numero e di estensione geografica, si sia conservata fino all’arrivo dei romani.
Tra le comunità terramaricole che sorgono lungo la valle del Cormor, si segnalano per importanza Udine e i due castellieri di Pozzuolo del Friuli. Proprio a Pozzuolo si deve un’importante scoperta: all’interno di una tomba è stata rinvenuta un’iscrizione con caratteri venetici.
Seppur di epoca romana, la stessa lastra calcarea con caratteri venetici rinvenuta a Ovaro, dimostra il “ritorno” di genti venetiche al seguito dei legionari dopo la sottomissione dei gallo-carni, oppure una presenza mai del tutto scomparsa di tribù venetiche nonostante il possesso di tribù celtiche sulla Carnia dopo l’invasione del IV secolo a.C..
Ma rispetto alla storia della via dell’ambra, ben più importanza assumono le due iscrizioni rupestri in lingua venetica, rinvenute al passo di Monte Croce Carnico e quella sita un po’ più ad est, al valico di Monte Lodin. Le iscrizioni dimostrano che tribù venetiche controllassero i due valichi e che probabilmente preferissero il passo di Monte Croce Carnico a quello della piana di Camporosso nel collegamento con la valle del Gail e quindi con la valle della Drava.
Ma un indizio consistente che le tribù venetiche controllassero sia il versante meridionale che quello settentrionale delle Alpi, ci viene fornito dall’iscrizione in lingua venetica a Wurmlach, nella municipalità di Kotschach-Mauthen. Sui graffitti di Wurmlach sono incisi alcuni antroponimi. I testi sono scaglionati nell’arco di sei secoli, dal VI al I secolo a.C.. L’arco temporale pone la questione su come si concilli la presenza di venetici anche dopo l’invasione celtica del IV secolo a.C..
La via Iulia Augusta
I romani dovettero semplicemente mettere a disposizione la propria potenza materiale e organizzativa, rispetto ad un sistema viario e commerciale già collaudato da secoli dalle comunità venetiche che dall’età del Bronzo medio avevano stabilito le loro dimore storiche lungo le vie dell’ambra.
E sempre Strabone a ricordare l’eccellenza dei romani nel realizzare opere pubbliche (alcune sopravvissute fino ai giorni nostri): “I Romani posero ogni cura in tre cose soprattutto, che dai Greci furono trascurate, cioè nell’aprire le strade, nel costruire acquedotti e nel disporre nel sottosuolo le cloache” (Geografia).
Nel 171 a.C. veniva registrata la marcia dimostrativa di Caio Cassio Longino contro gli Istri. Il console coglieva l’occasione del transito, verosimilmente lungo la pedemontana friulana, per devastare anche le terre dei Carni sulle montagne (oltre a quelle dei Giapidi), e il loro alleato Cincibilo, regulo dei Galli transalpini, si doleva con il senato di Roma.
La necessità di proteggere la nuova colonia latina di Aquileia (ancora in fasce) e contemporaneamente controllare le diverse “vie dell’ambra” che convogliavano tutte verso l’emporio aquileiese, indusse i romani alla costruzione di alcuni castellum. Come per Aquileia i romani agirono in stretta alleanza con i veneti, che per secoli avevano dominato queste vie di comunicazione prima dell’arrivo dei celti.
Un primo castellum fu edificato sul complesso del Monte Barda e del Monte Roba (dove già esisteva un castelliere venetico), nei pressi dell’attuale comune di San Pietro al Natisone. La struttura militare, posta su un’altura che dominava lo sbocco della valle del Natisone, nacque con la precisa esigenza di difendere la piana aquileiese. Con la stessa logica prettamente militare fu costruito un forte sul colle Mazéit di Verzegnis, situato in posizione strategica per difendere la pianura friulana rispetto ad eventuali irruzioni provenienti dal passo di Monte Croce Carnico. Sempre collegato con la fondazione di Aquileia risulta anche il complesso di Grad presso Smihel (Postumia, Slovenia), che dominava la via dell’ambra che da Aquileia si dirigeva a Lubiana (Iulia Emona). Il castello romano si trovava a pochi chilometri dal valico di Razdrto, l’antico valico che Strabone ci ricorda con la denominazione Okra.
Questo complesso di fortificazioni militari posti a protezione della nuova colonia fu completato poi in epoca cesariana, con l’edificazione di un castellum sul Colle di S. Spirito presso Moggio Udinese, posto a difesa del percorso che dalla valle del Fella, attraverso la sella di Camporosso, conduceva a Virunum.
Nel tempo il sistema difensivo ebbe delle mutazioni ma i romani continuarono sempre a costruire in aree abitate o già frequentate dai loro alleati veneti e sempre a salvaguardia di quella viabilità che fu la caratteristica principale della regione friul-giuliana. Tutte le vallate friulane che conducevano ai valichi alpini furono sorvegliate. Possiamo un po’ semplicisticamente affermare che, già dall’epoca romana, la regione friulana assunse il ruolo di “sentinella d’Italia” che le fu proprio in epoca moderna.
La rapidità nello spostamento delle legioni presupponeva la capacità di costruire strade all’altezza di quelle già esistenti nel resto della penisola.
Ecco perché le vie “consolari” nascevano su iniziativa di consoli o proconsoli nelle province dell’impero. In molti casi le “viae pubblicae” adottavano il nome del magistrato che ne ordinava la costruzione.
Questa consuetudine unita alla decisiva importanza che ebbe Giulio Cesare nell’assetto amministrativo della regione Giulia, ha spinto alcuni studiosi a ipotizzare che l’antica via dell’ambra, che dall’abitato venetico nei pressi di Aquileia conduceva al passo di Monte Croce Carnico, sia stata ribattezzata via Iulia durante il consolato di Giulio Cesare sulla Gallia Cisalpina.
Nel 59 a.C. il Senato romano (lex Vatinia) assegnò a Gaio Giulio Cesare il consolato sulle province della Gallia Cisalpina e dell’Illirico, che governò per un decennio. In quella funzione Cesare non solo amministrò la giustizia ma riordinò amministrativamente tutto il territorio aquileiese. Come ci ricorda nella sua opera del “De Bello Gallico”, il generale romano fu più volte ad Aquileia con le sue legioni. Nel 59-58 a.C. tre delle sue quattro legioni che furono utilizzate per la guerra in Gallia, svernarono proprio nei pressi di Aquileia. Fu in quel periodo di tempo che Cesare fondò Forum Iulii (Cividale del Friuli) e il centro di Iulium Carnicum (Zuglio). Giulio Cesare dopo una scorreria di tribù celtiche provenienti dalla Val Pusteria, fece una spedizione sulle Alpi per punire quelle genti, passando proprio dal passo di Monte Croce Carnico. Dopo quella rappresaglia volle sistemare il tracciato antico della via dell’ambra che conduceva a quello strategico Passo. Fece istituire sei magazzini viveri sulla via che da Aquileia conduceva fino all’attuale Villach e denominò l’ultimo luogo Iulium Carnicum. La via Iulia Augusta nacque quindi come “via Consolare” e, data la natura prevalentemente militare, fu probabilmente di proprietà dello Stato romano.
L’umanista Paolo Fistulario così riporta la tradizione che vorrebbe Giulio Cesare edificatore della via Iulia Augusta: “Cesare giunto in questa contrada l’anno del suo proconsolato, cioè l’anno di Roma 695, lasciò bensì cospicue civili memorie e nella città di Giulio Carnico che fondò oppur rifece ne’ monti e nel Foro di Giulio che in grazia del commercio piantò a Cividale, donde poi ne trasse il nome l’intiero paese. Aprì ancora, per quanto credesi una via militare, di cui è menzione nell’itinerario di Antonino. Da Aquileja per Tricesimo e per Giulio Carnico, e di là pel Norico e per la Rezia, per poter quindi portare, come poi fece speditamente la guerra negli Svizzeri, ma niuna guerra ebb’egli certamente o allora o dappoi coi Norici o coi Rezj, per cui fosse d’uopo distribuire contro di essi custodie o presidi o nel distretto o sulle frontiere de’ Carni; attestandoci egli stesso che le tre legioni che a questo effetto passarono qui l’invernata, non ebbero altro ricovero che quelle degli alloggiamenti, o vogliamo dire castelli, fabbricati molto prima per testimonio di Livio nelle vicinanze d’Aquileia”.
Le fasi dell’espansione romana sono sempre state caratterizzate dallo sviluppo della viabilità. Se in una prima fase le strade romane venivano costruite per esigenze militari, in una seconda fase diventavano formidabili strumenti per lo sviluppo del commercio e dell’economia in generale.
Lungo la via Iulia Augusta esisteva un servizio di stazioni di posta statali dette “mutationes”, per la sosta e il cambio dei cavalli. Ma il grado di efficienza del sistema viario romano era dimostrato dalla presenza di vere e proprie stazioni, che funzionavano come moderni “alberghi” per il ristoro, l’alloggio, dotati di stalle, della presenza di un medico, di un veterinario, di un fabbro. Si trattava delle cosiddette “mansiones”, che divennero con il tempo dei veri e propri centri commerciali, dotati di un servizio di polizia, di una banca, di un impianto termale. Nel sofisticato sistema viario romano esistevano anche le “stationes”, posti di guardia in cui le staffette prendevano in carico la posta statale. Se in una prima fase il “cursus pubblicus” veniva trasportato da staffette a cavallo, sotto Augusto venne creato un sistema di corrieri dotati di carri trainati da una coppia di cavalli. A quel tempo esisteva già un trasporto passeggeri con vetture tirate da cavalli o muli, denominato “cursus velox”. Il trasporto per attraversare i valichi alpini (infestati da banditi) veniva garantito da una speciale corporazione il “Corpus Cisalpinorum et Transalpinorum”.
Per immaginare quanto e come la regione friulana cambiò il suo volto con l’arrivo dei romani, basterebbe pensare alle mille attività che sorsero nelle piccole o grandi comunità che prosperarono sulla via Iulia Augusta.
Ad Tertium Lapidem, l’odierna Terzo d’Aquileia, era un crocevia di strade che collegavano Aquileia con l’Italia e l’Europa. [la via Postumia, che partiva dalla colonia latina Genua per spingersi verso l’Istria; la via Annia che partiva da Adria per riunirsi con la Flaminia e con l’Emilia che giungevano da Roma; la via Iulia Augusta, che portava verso il Norico ed il nord; la strada di Aquileia che portava a Cividale; la via Gemina, che portava verso l’Illiria, verso l’antica Emona (Lubiana) e l’est, dividendosi dalla Iulia Augusta proprio in corrispondenza di un ponte sul fiume di Terzo]. La speciale collocazione geografica della località lascia presupporre che in epoca romana fu sede di una “statio”, uno di quei luoghi che rispondevano alle esigenze dei viaggiatori.
Per quanto attiene a Utinum (Udine), seppur non si sono mai trovate fonti storiche precise che ne comprovino l’importanza in epoca romana (probabilmente si sono perdute), le recenti scoperte archeologiche indicano che l’originaria comunità venetica che la fondò presumibilmente nel Bronzo Medio, abbia ricevuto una deduzione di coloni latini nel 169 a.C. (seconda deduzione di Aquileia). E’plausibile ritenere che, proprio per la privilegiata collocazione della città, anche Cesare abbia rafforzato l’elemento etnico latino, premiando alcuni suoi veterani con l’assegnazione di terre nell’area udinese. L’idea tenacemente sostenuta nel corso del tempo, che fu proprio il “divo Giulio” a edificare artificialmente (o quantomeno rafforzare) il colle del castello, è stata sostenuta da molti eruditi fino al Rinascimento. Il colle del castello, la collocazione geografica della città sulla direttrice della via Iulia Augusta, la vicinanza all’agevole via fluviale del Cormor, la rendevano un luogo ideale per un “castra stativa” romano. Un presidio permanente di legionari romani con costruzioni in muratura, che ricomprendeva anche le famiglie dei legionari. La presenza dei soldati di Roma attirava sempre mercanti e nuovi cittadini, che si sentivano ovviamente protetti e liberi di poter impiantare le loro attività artigianali e commerciali. E’possibile che il “castra” romano si insediò nell’area del Mercato Vecchio. L’ipotesi che questo nuovo quartiere della città che si affiancò a quello antico abitato da popolazioni venetiche, si chiamasse Atina, dal nome della località laziale da cui provenivano i coloni latini, ha dato la stura all’ipotesi che il nome della città sia una corruzione del nome latino del “castra”.
Più abbondanti sono i riferimenti alla fondazione cesariana di Forum Iulii dove, su un sito preesistente venetico, in analogia con le motivazioni che portarono alla nascita di Iulium Carnicum, venne edificato un foro per raccogliere mercanti e viaggiatori transalpini.
Di schietta origine romana e in tutto e per tutto collegata alla via Iulia Augusta su cui fu edificata, è la mansio “Ad Tricesimum lapidem”, che significa alla trentesima pietra miliare dal porto di Aquileia. Gli scavi archeologici fanno risalire la fondazione romana al II sec. a.C..
A 35 miglia da Aquileia si trovava invece la mansio Ad Silanos (oggi denominata Godo, frazione del comune di Gemona del Friuli), posta alla confluenza della strada che dal Norico porta a Concordia. La località viene citata nella Tavola Peutingeriana. Nel borgo di Godo ancor oggi si trova la fontana di Silans, che nel nome sembra racchiudere l’antico riferimento alla località romana.
E’invece l’Itinerarium Antonini a svelarci quali fossero le “dogane” poste ai valichi del Passo di Monte Croce Carnico, lungo la strada che conduceva ad Aguntum e al valico di Camporosso. A presidiare il valico carnico c’era la stazione In Alpe, mentre la dogana posta al confine con il Norico si ritiene possa essere stata Larice, toponimo che oggi è forse conservato nella frazione di Campolaro (comune di Chiusaforte). Tra le stationes doganali va annoverata quella Temaviensis che va identificata molto probabilmente con l’odierna Timau. Ne abbiamo conoscenza grazie alla nota iscrizione rupestre scoperta sotto il passo di Monte Croce Carnico. Nell’iscrizione è nominato un conductor publici portorii vectigalis Illyrici della stationis Temaviensis. Ed è sempre l’Itinerarium Antonini a rivelarci che la stazione doganale con il Norico era probabilmente situata nell’odierna Resiutta. Nel piccolo comune della Canal del Ferro è stata infatti trovata una dedica a Silvano, scritta da un addetto alla dogana della statio Plorucensis, toponimo che sembra richiamare il monte Plauris che sovrasta Resiutta.
Le caratteristiche geografiche e orografiche della regione friulana (e più in generale della regione Giulia) hanno influenzato in modo decisivo le peculiarità della stirpe friulana. L’unione e poi la fusione tra l’elemento etnico venetico e quello latino, rappresentò l’elemento centrale dell’identità storica friulana. La permeabilità delle Alpi Carniche e Giulie rese da sempre la regione friulana crocevia di correnti migratorie e commerciali, ma anche e sovente luogo di invasioni violente.
Le stesse vie romane che avevano garantito prosperità per secoli, vennero utilizzate dai barbari per invadere la regione friulana e la penisola. L’irruzione violenta di Goti, Unni, Longobardi segnò una profonda decadenza rispetto all’epoca romana e ci vollero secoli prima di ricominciare a costruire sulle orme profonde della civiltà romana. Ma i settecento anni dalla fondazione di Aquileia avevano dato frutti culturali profondi e quando i Longobardi scenderanno dalle Alpi Giulie per stabilire la loro dimora in Friuli (e nella penisola), troveranno una popolazione che ormai era interamente romana.
Dott. Stefano Salmè